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Il dottor John H. Watson, personaggio creato dal famoso scrittore Arthur Conan Doyle come co-protagonista delle avventure del detective Sherlock Holmes, appare per la prima volta nel romanzo Uno studio in rosso (1887) ed è presente in tutti i romanzi e quasi tutti i racconti del ciclo di Sherlock Holmes. Watson rappresenta la spalla del protagonista ed è presentato nella prima scena della prima puntata della serie.

Dopo essere stato chirurgo nell’esercito coloniale britannico e successivamente ferito, ritorna a Londra, data l’impossibilità permanente di svolgere ulteriormente il suo ruolo di chirurgo nell’esercito. Colpito sia nel corpo (a causa del dolore per la ferita, indebolito dalle prolungate durezze patite), nell’anima (data una sottile punta di depressione che aveva colpito il povero dottor Watson per via di questo suo pensionamento anticipato, che lo aveva allontanato dai suoi doveri di soldato e servitore della patria), che nelle finanze, Watson trova uno spiraglio di luce quando incontra un suo vecchio amico e collega, il giovane Stamford. È lui che lo informa di un suo amico che cerca qualcuno con cui condividere le spese e le camere di un appartamento estremamente grazioso. Quest’amico in questione, un individuo chiamato Sherlock Holmes, lo trovano nel San Bartholomew’s Hospital, in un laboratorio, intento a compiere alcuni esperimenti scientifici. È qui che si presentano i due.

RAPPORTO SHERLOCK-WATSON

di Alessia Ainis VD

 

“Holmes, against absolutely no opposition, whatsoever I am your closest friend” 

“Holmes, contro ogni aspettativa, qualsiasi cosa ci sia, io sono il tuo migliore amico”

Dal momento in cui il dottor Watson diventa inquilino di Holmes, comincia a studiare il suo nuovo amico, eccitato per le sue incredibili doti, ma senza dimenticare di scavare nel carattere del personaggio di cui, in un primo momento, non conosce esattamente nemmeno il lavoro.

Nonostante le indubbie capacità (è laureato in medicina e dotato di grande abilità narrativa) la figura di Watson appare quasi costantemente adombrata dal genio di Holmes, la cui mente brillante e anticonvenzionale si contrappone all'intelligenza ordinaria e chiusa di Watson, che in più di una occasione scatena le ire del compagno, dimostrandosi troppo lento a capire e incapace di andare oltre i propri schemi mentali. Watson del resto, pur consapevole dei propri limiti rispetto all'amico, sembra spesso compiacersi (soprattutto all'inizio) di enumerare mancanze e delle stranezze di Holmes (come nell'elenco di conoscenze e lacune stilato in Uno studio in rosso). Tra i due esiste comunque affetto sincero e un'interazione perfetta tra caratteri opposti.

Dal momento in cui il dottor Watson diventa inquilino di Holmes, comincia a studiare il suo nuovo amico, eccitato per le sue incredibili doti, ma senza dimenticare di scavare nel carattere del personaggio di cui, in un primo momento, non conosce esattamente nemmeno il lavoro.

Nonostante le indubbie capacità (è laureato in medicina e dotato di grande abilità narrativa) la figura di Watson appare quasi costantemente adombrata dal genio di Holmes, la cui mente brillante e anticonvenzionale si contrappone all'intelligenza ordinaria e chiusa di Watson, che in più di una occasione scatena le ire del compagno, dimostrandosi troppo lento a capire e incapace di andare oltre i propri schemi mentali. Watson del resto, pur consapevole dei propri limiti rispetto all'amico, sembra spesso compiacersi (soprattutto all'inizio) di enumerare mancanze e delle stranezze di Holmes (come nell'elenco di conoscenze e lacune stilato in Uno studio in rosso). Tra i due esiste comunque affetto sincero e un'interazione perfetta tra caratteri opposti.

Un socio che prevede le vostre conclusioni e il modo come agirete, è sempre pericoloso; quando invece per questo socio ogni nuovo sviluppo della situazione si presenta come una rinnovata sorpresa, e per il quale il futuro è sempre un libro chiuso, costui diventa veramente un compagno ideale”.

Tra i due personaggi, col passare del tempo e delle avventure, s’instaura un rapporto di forte amicizia, un sincero affetto e un’interazione perfetta tra caratteri opposti.

Come dice Holmes nella parte finale della serie TV : “All’infuori di lei Watson, non ho nessun amico”; questo può farci ben capire che tipo di legame vi è tra i due. “Mio caro Watson…” questa l’affettuosa, un po’ supponente, espressione con la quale il medico impara a sentirsi rivolgere dall’amico: un’amicizia degna dello stile di due gentiluomini vittoriani, che non si danno mai del tu, e non si chiamano mai per nome, incredibilmente, nemmeno dopo tanti anni di frequentazione, vita in comune e avventure insieme.

Holmes non riconosce mai di avere in Watson qualcuno intellettualmente suo pari (riconoscimento concesso, invece, ad un nemico come Moriarty), ma Watson non dimostra mai di soffrirne: accanto ad Holmes sembra aver ritrovato il proprio posto nel mondo, la luce riflessa di cui brillare, un rimedio alla propria fragilità. Holmes, nonostante tutto, è qualcuno anche di cui prendersi cura, sentendosi ancora una volta medico, sentendosi utile. Watson si auto-richiama dal proprio pensionamento, più psicologico che materiale; con Holmes ritrova l’entusiasmo del Servizio militare: una causa da servire.

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